Si chiamava Kisuke, aveva circa trent'anni, e non aveva fissa dimora. Inoltre dato che non aveva familiari da invitare presso la prigione, salì sul battello da solo. l'agente di polizia che aveva avuto l'ordine di fargli la guardia si chiamava Haneda Shoubei [...]
Sebbene ai prigionieri fosse permesso dormire sul battello, Kisuke non dava segno di volersi distendere, ma guardava in silenzio la luna, la cui luce s'attenuava e s'attenuava al passaggio delle nubi; le ciglia di Kisuke erano immobili e i suoi occhi avevano una tenue luminosità.
Shoubei non lo fissava ma, tenendo gli occhi sul volto di lui, continuava a pensare: "E' strano! E' strano!": per quanto scrutasse insistentemente, non poteva scoprire segni di dolore. Kisuke appariva raggiante e come se dovesse mettersi da un momento all'altro a canterellare o a fischiettare, se non fosse stato trattenuto dalla presenza del funzionario di polizia.
Shoubei pensò a tutte le volte che aveva avuto la responsabilità della nave. I delinquenti che aveva portato a bordo erano quasi sempre nelle stesse condizioni; in un tale stato pietoso che non aveva avuto la forza di guardarla. Cosa c'era invece di diverso in quest'uomo? Sembrava che fosse sulla nave per svago. Si diceva che avesse ucciso suo fratello e quand'anche questi fosse stato un mostro i cattiveria, anche in quel caso Kisuke, se avesse avuto sentimenti umani, avrebbe dovuto star male, senza tener conto delle attenuanti. Poteva quest'uomo pallido e sparuto essere così eccezionalmente perfido da esser privo degli affetti umani più elementari? Shoubei non lo credeva possibile. Era forse un pazzo? No, no. Il suo comportamento e le sue parole erano troppo conseguenti. Cosa c'era che non andava in quest'uomo? Più Shoubei pensava all'atteggiamento di Kisuke e più rimaneva perplesso.
Dopo un po' non potendo più frenare la sua curiosità, sbottò: "Kisuke, cosa pensi?"
"Signore?" Kisuke si guardò intorno preoccupato come se temesse di aver offeso in qualche modo il poliziotto, poi raddrizzando il busto guardò Shoubei interrogativamente.
"Non ho fatto questa domanda per ragioni particolari. Volevo solo sentire da te che cosa avevi nel cuore adesso che stai per esser mandato in esilio. Ho accompagnato molte persone all'isola su questa nave, e sebbene si fossero trovate nelle situazioni più diverse soffrivano sempre d'essere mandate via. Qui sul battello piangevano tutta la notte in compagnia dei loro familiari. A quanto pare, invece, non sembra che l'eslio ti preoccupi. Cosa provi?"
Kisuke sorrise e rispose: "Lei è molto gentile a parlarmi in maniera così cordiale. L'esilio è probabilmente una cosa tragica per le altre persone e io posso comprendere i loro sentimenti. Però iò è accaduto perché erano persone che avevano vissuto negli agi. Kyoto è n posto splendido, ma dovunque vada, probabilmente non soffrirò mai come ho sofferto in quella bella città. [...]
Finora non ho mai avuto un posto tutto per me. Questa volta il governo mi ha detto gentilmente di rimanere sull'isola e il fatto che possa sistemarmi mi rende riconoscente più di ogni altra cosa. [...] Per di più, prima di mandarmi sull'isola, mi hanno dato duecento denari di rame e li ho qui con me". E dicendo questo si mise la mano sul petto. [...]
Kisuke continuò: "Mi vergogno di dirlo, ma fino ad oggi non ho mai avuto duecento denari in tasca. Volevo trovare un lavoro, l'ho cercato dappertutto e quando l'ho trovato ho lavorato senza risparmio. Ma dovevo sempre consegnare subito il denaro che prendevo a qualcun altro. C'erano periodi buoni in cui potevo spendere il mio denaro per comprarmi da mangiare, ma di solito pagavo i debiti e prendevo in prestito altro denaro. Fin da quando sono stato messo in carcere, comunque, ho mangiato senza lavorare. Già questo solo fatto mi mise a disagio e quando sono uscito ho avuto questi duecento denari. Se considero hce le autorità mi danno da mnagiare come sempre, mi rendo conto che posso conservare questi duecento denari senza spenderli. QUesta è la prim volta che ho avuto del denaro tutto per me. Fino a che non arrivo sull'isola non so che genere di lavoro farò, ma pregusto il piacere di usare questi duecento denari per farmi una posizione." Poi Kisuke tacque.
[...] Shoubei di solito conduceva una vita così parsimoniosa da essere considerato taccagno; [...] Sfortunatamente sua moglie proveniva da una ricca famiglia di commercianti e, per quanto animata dalle migliori intenzioni di far bastare lo stipendio che Shoubei riceveva, essendo stata viziata fin da bambina nella ricca casa paterna, non era in grado di ridure le spese come Shoubei avrebbe desiderato. [...] Ascoltando il racconto di Kisuke Shoubei paragonò la vita del prigioniero alla sua. Questi aveva detto che appena riceveva il denaro guadagnato doveva subito darlo a qualcun altro; certo si trattava di una situazione triste. Ma se egli riandava la sua vita, c'era forse una differenza sostanziale fra lui e Shoubei? Non doveva forse anche lui consegnare il suo stipendio statale appena lo riceveva? La sola differenza fra loro, se differenza c'era, era di cifre. Egli non aveva risparmi paragonabili ai duecento denari che Kisuke custodiva gelosamente. Quando uno guardava al tutto in questa luce, non era illogico che Kisuke fosse felice dei suoi duecento denari che considerava veri e propri risparmi. Shoubei lo comprendeva perfettamente, ma pur facendo la dovuta differenza di reddito, era sbalordito dal fatto che Kisuke fosse privo di avidità e sapesse accontentarsi. [...]
Pur se il suo stipendio era alle volte inadeguato, Shoubei poteva quasi sempre coprire le spese. Era una vita senza debiti, sì, ma non ci aveva mai trovato nessun motivo particolare di soddisfazione. Al solito si viveva senza essere consapevoli nè della felicità nè del contrario.
Sebbene ai prigionieri fosse permesso dormire sul battello, Kisuke non dava segno di volersi distendere, ma guardava in silenzio la luna, la cui luce s'attenuava e s'attenuava al passaggio delle nubi; le ciglia di Kisuke erano immobili e i suoi occhi avevano una tenue luminosità.
Shoubei non lo fissava ma, tenendo gli occhi sul volto di lui, continuava a pensare: "E' strano! E' strano!": per quanto scrutasse insistentemente, non poteva scoprire segni di dolore. Kisuke appariva raggiante e come se dovesse mettersi da un momento all'altro a canterellare o a fischiettare, se non fosse stato trattenuto dalla presenza del funzionario di polizia.
Shoubei pensò a tutte le volte che aveva avuto la responsabilità della nave. I delinquenti che aveva portato a bordo erano quasi sempre nelle stesse condizioni; in un tale stato pietoso che non aveva avuto la forza di guardarla. Cosa c'era invece di diverso in quest'uomo? Sembrava che fosse sulla nave per svago. Si diceva che avesse ucciso suo fratello e quand'anche questi fosse stato un mostro i cattiveria, anche in quel caso Kisuke, se avesse avuto sentimenti umani, avrebbe dovuto star male, senza tener conto delle attenuanti. Poteva quest'uomo pallido e sparuto essere così eccezionalmente perfido da esser privo degli affetti umani più elementari? Shoubei non lo credeva possibile. Era forse un pazzo? No, no. Il suo comportamento e le sue parole erano troppo conseguenti. Cosa c'era che non andava in quest'uomo? Più Shoubei pensava all'atteggiamento di Kisuke e più rimaneva perplesso.
Dopo un po' non potendo più frenare la sua curiosità, sbottò: "Kisuke, cosa pensi?"
"Signore?" Kisuke si guardò intorno preoccupato come se temesse di aver offeso in qualche modo il poliziotto, poi raddrizzando il busto guardò Shoubei interrogativamente.
"Non ho fatto questa domanda per ragioni particolari. Volevo solo sentire da te che cosa avevi nel cuore adesso che stai per esser mandato in esilio. Ho accompagnato molte persone all'isola su questa nave, e sebbene si fossero trovate nelle situazioni più diverse soffrivano sempre d'essere mandate via. Qui sul battello piangevano tutta la notte in compagnia dei loro familiari. A quanto pare, invece, non sembra che l'eslio ti preoccupi. Cosa provi?"
Kisuke sorrise e rispose: "Lei è molto gentile a parlarmi in maniera così cordiale. L'esilio è probabilmente una cosa tragica per le altre persone e io posso comprendere i loro sentimenti. Però iò è accaduto perché erano persone che avevano vissuto negli agi. Kyoto è n posto splendido, ma dovunque vada, probabilmente non soffrirò mai come ho sofferto in quella bella città. [...]
Finora non ho mai avuto un posto tutto per me. Questa volta il governo mi ha detto gentilmente di rimanere sull'isola e il fatto che possa sistemarmi mi rende riconoscente più di ogni altra cosa. [...] Per di più, prima di mandarmi sull'isola, mi hanno dato duecento denari di rame e li ho qui con me". E dicendo questo si mise la mano sul petto. [...]
Kisuke continuò: "Mi vergogno di dirlo, ma fino ad oggi non ho mai avuto duecento denari in tasca. Volevo trovare un lavoro, l'ho cercato dappertutto e quando l'ho trovato ho lavorato senza risparmio. Ma dovevo sempre consegnare subito il denaro che prendevo a qualcun altro. C'erano periodi buoni in cui potevo spendere il mio denaro per comprarmi da mangiare, ma di solito pagavo i debiti e prendevo in prestito altro denaro. Fin da quando sono stato messo in carcere, comunque, ho mangiato senza lavorare. Già questo solo fatto mi mise a disagio e quando sono uscito ho avuto questi duecento denari. Se considero hce le autorità mi danno da mnagiare come sempre, mi rendo conto che posso conservare questi duecento denari senza spenderli. QUesta è la prim volta che ho avuto del denaro tutto per me. Fino a che non arrivo sull'isola non so che genere di lavoro farò, ma pregusto il piacere di usare questi duecento denari per farmi una posizione." Poi Kisuke tacque.
[...] Shoubei di solito conduceva una vita così parsimoniosa da essere considerato taccagno; [...] Sfortunatamente sua moglie proveniva da una ricca famiglia di commercianti e, per quanto animata dalle migliori intenzioni di far bastare lo stipendio che Shoubei riceveva, essendo stata viziata fin da bambina nella ricca casa paterna, non era in grado di ridure le spese come Shoubei avrebbe desiderato. [...] Ascoltando il racconto di Kisuke Shoubei paragonò la vita del prigioniero alla sua. Questi aveva detto che appena riceveva il denaro guadagnato doveva subito darlo a qualcun altro; certo si trattava di una situazione triste. Ma se egli riandava la sua vita, c'era forse una differenza sostanziale fra lui e Shoubei? Non doveva forse anche lui consegnare il suo stipendio statale appena lo riceveva? La sola differenza fra loro, se differenza c'era, era di cifre. Egli non aveva risparmi paragonabili ai duecento denari che Kisuke custodiva gelosamente. Quando uno guardava al tutto in questa luce, non era illogico che Kisuke fosse felice dei suoi duecento denari che considerava veri e propri risparmi. Shoubei lo comprendeva perfettamente, ma pur facendo la dovuta differenza di reddito, era sbalordito dal fatto che Kisuke fosse privo di avidità e sapesse accontentarsi. [...]
Pur se il suo stipendio era alle volte inadeguato, Shoubei poteva quasi sempre coprire le spese. Era una vita senza debiti, sì, ma non ci aveva mai trovato nessun motivo particolare di soddisfazione. Al solito si viveva senza essere consapevoli nè della felicità nè del contrario.